Il Sumo è lo sport nazionale del Giappone ed una delle discipline più curiose e incomprensibili agli occhi degli occidentali. Si tratta di una sorta di wrestling fra due lottatori di enorme stazza, i Rikishi, che tentano di far perdere l’equilibrio l’uno all’altro.
Tutti noi li abbiamo visti almeno una volta: uomini grandi come montagne, coperti solo da un perizoma, con i capelli legati in un codino.
Ma in quanti si immaginano che il sumo, in realtà, sia un rituale religioso e che il ring sia un luogo sacro? E ancora, quanta gente pensa che i lottatori di sumo siano semplicemente “grassi” e non che il loro corpo sia soprattutto un concentrato di muscoli?
In questo articolo vedremo insieme in cosa consiste il sumo, quando è nato, come si allenano i lottatori di sumo e anche qualche aneddoto interessante su questa disciplina tradizionale.
Indice
Regole e rituali del match di sumo
Come ogni disciplina tradizionale giapponese, anche il sumo ha le sue regole e i suoi dogmi, tanto più che si tratta di una pratica strettamente legata con la ritualità shintoista.
Cominciamo con il dire che, nel sumo, vince il lottatore che riesce a spingere l’avversario fuori dal ring o a fargli perdere l’equilibrio. Gli incontri si svolgono su una pedana circolare di argilla ricoperta di sabbia, il dohyo, considerato un luogo sacro.
Vediamo insieme quali sono le fasi e regole di un match di sumo.
Fasi del sumo:
- Dohyoiri: i lottatori di sumo di alto livello salgono sul dohyo per essere presentati alla platea. In questa fase i rikishi indossano una sorta di rigido grembiule un seta, il keshomawashi, decorato con stemmi e scritte che identificano gli sponsor del torneo e svolgono un rituale scaramantico per allontanare il male. Questo rituale non include gli yokozuna, ovvero i lottatori migliori, che entrano sul ring con una cerimonia a loro dedicata.
- Yokozuna dohyoiri: l’entrata in scena degli yokozuna, i lottatori di livello più alto. Solo adesso i combattimenti possono avere ufficialmente inizio.
- Il lancio del sale: primo di ogni incontro, vedrete i rikishi cospargere il dohyo con del sale. In Giappone, infatti, si ritiene che il sale abbia poteri purificatori e che protegga il ring da influenze maligne. causa d’infortuni e incidenti. Nel frattempo, i rikishi si sono cambiati e hanno indossato un perizoma più semplice, detto “mawashi”.
- Lo Shiko: uno degli elementi più caratterizzanti del sumo. I rikishi sollevano una gamba sino a portarla in posizione quasi perpendicolare al suolo e dopodiché la riabbassano con vigore, in modo che il piede colpisca il suolo scatenando un potente tonfo. Questo movimento ha due obiettivi: il primo è quello di fare una sorta di “stretching” preparatorio. Il secondo consiste nello spaventare gli spiriti maligni e farli scappare dal dohyo.
- Lotta: a questo punto i rikishi si confrontano in un match che dura da una manciata di secondi a qualche minuto. Lo scopo della lotta è far uscire l’avversario dal bordo delimitato dalle corde del dohyo o, in alternativa, di atterrarlo. Il sumo prevede una settantina di mosse che spaziano dallo spintonare al sollevare l’avversario sino agli sgambetti.
- Danza con l’arco: questa danza segna la fine del torneo ed è puramente simbolica. Un giovane rikishi si esibisce con un arco, antico trofeo del vincitore che oggi significa forza e vittoria.
Il rikishi che consegue il maggior numero di vittorie, vince il torneo.
Nel sumo, ci sono innumerevoli azioni proibite, che segnano automaticamente la sconfitta di un partecipante. Alcune delle mosse non consentite sono: prendere l’avversario a pugni, tirargli i capelli, infilargli le dita negli occhi, strattonargli il perizoma in corrispondenza dell’inguine, afferrarlo per il collo e schiaffeggiarlo in faccia.
Perdere il perizoma e rimanere completamente nudi è severamente proibito, pena la sconfitta immediata.
Inoltre alle donne non solo è proibito partecipare, ma non gli è neanche permesso mettere piede sul ring.
Tornei di sumo
I tornei di sumo sono detti honbasho e vengono tenuti sei volte l’anno, nei mesi dispari. Ogni torneo ha una durata complessiva di quindici giorni e ogni rikishi, in genere, affronta un avversario diverso ogni giorno
Nel sumo, come nel wrestling, i lottatori sono suddivisi in categorie: in questo caso, tuttavia, le categorie non si basano sul peso degli atleti ma sulla loro bravura. La categoria più alta è quella degli Yokozuna, in cui rientrano solo i migliori lottatori in assoluto. È l’unica categoria del sumo da cui non si può retrocedere, un titolo che il lottatore conserva sino al momento del ritiro dalle scene. Ai livelli inferiori troviamo ben altre nove categorie, ma i lottatori di livello più alto vengono raggruppati sotto la dicitura di “sekitori”.
I ranghi dei lottatori di sumo si decidono in base al numero di incontri vinti durante un torneo: il rikishi che vince otto su quindici incontri può mantenere il proprio rango. Se dovesse vincerne meno, è costretto a retrocedere; se dovesse vincerne di più, può avanzare di una categoria. La classifica delle categorie dei lottatori si chiama “banzuke” e viene stilata al termine di ogni torneo.
Gli “honbasho” si svolgono in diverse città. Tokyo ospita i tornei di gennaio, maggio e settembre, Osaka quelli di marzo, Nagoya quelli di luglio e Fukuoka quelli di novembre.
Ad agosto, mese molto popolare per viaggiare in Giappone (soprattutto per gli italiani), i lottatori di sumo sono purtroppo in ritiro in Hokkaido, dove fa più fresco, per gli allenamenti.
Le origini del sumo
Il sumo ha origini molto antiche. Basti pensare che il primo incontro di sumo della storia è quello menzionato nel “Kojiki”, quando le divinità Takemikatsuchi no Kami e Takeminakata no Kami si sfidano in una gara di forza. Il sumo probabilmente è nato intorno al VI secolo, si trattava di una imitazione di questa leggendaria lotta tra divinità e veniva offerto come intrattenimento per gli dèi, durante i riti shintoisti.
Nel corso dei secoli, il pubblico del sumo si è allargato: inizialmente è arrivato alla Corte Imperiale, dopodiché è diventato popolare tra nobili e samurai e infine si è trasformato in una disciplina seguita con interesse da tutta la popolazione giapponese. Nonostante ciò, dopo tutti questi secoli la lotta tradizionale giapponese non ha mai perduto i suoi connotati sacri.
Uno degli esempi più lampanti della correlazione tra sumo e shintoismo è il rituale del “nakizumo”. Durante questa cerimonia, due rikishi prendono in braccio dei lattanti e li fanno gareggiare in un modo molto bizzarro: il bambino che scoppia a piangere per primo, infatti, vince. Credeteci o meno, questa pratica è ritenuta di buon auspicio poiché si pensa che il pianto dei bambini scacci via gli spiriti malvagi e che un pianto portentoso sia il presagio di una crescita forte e sana.
Storia del sumo
Come abbiamo visto, il sumo visse per secoli all’ombra dei santuari shintoisti e veniva praticato soprattutto per invocare raccolti di riso abbondanti. In epoca feudale, inoltre, sempre più lottatori furono arruolati dai clan guerrieri non solo poiché ritenuti dotati di un’enorme forza fisica, ma anche per via della loro natura quasi divina, che incuteva timore e soggezione.
Tuttavia, il declino del potere imperiale e l’insorgere della classe guerriera, con le terribili guerre civili che ne conseguirono, segnarono tempi molto duri per il sumo. I rikishi avevano perso i loro mecenati e a causa dell’instabilità politica, nel primo periodo Kamakura (1185-1333) i tornei di sumo furono aboliti. I lottatori, rimasti ormai senza lavoro, iniziarono così a sfidarsi per le strade, di fronte alla gente comune. Fu un successo! Peccato solo che questi eventi generassero un po’ troppo scompiglio per le strade e che spesso finisse a cazzotti anche fra i membri del pubblico…
Il sumo, nella forma in cui lo conosciamo oggi, è nato nel Periodo Edo (1603-1869) insieme alla figura del lottatore di sumo professionista. In quest’epoca il sumo è già diventato popolarissimo fra la gente comune, come testimoniano anche degli uikiyo-e che raffigurano stadi di sumo gremiti di gente.
Sempre in questo periodo, lo shogunato regolamentò gli incontri di sumo e rese illegale qualsiasi match combattuto fuori da luoghi privati sorvegliati dalle autorità governative.
Particolarità dei lottatori di sumo
Sono loro i veri protagonisti di questa disciplina: possenti e massicci come montagne, i rikishi affrontano un allenamento durissimo per poter gareggiare. Ma da cosa si riconosce un lottatore di sumo?
In primo luogo, dalla stazza: molte persone sono convinte che i lottatori siano semplicemente “grassi”, senza sapere che in verità la massa grassa nel corpo di un lottatore di sumo è inferiore a quella di un individuo comune normopeso. I lottatori di sumo, infatti, sono innanzitutto un fascio di muscoli. Il loro grasso è esclusivamente sottocutaneo e serve ad attutire le cadute e a mantenere basso il loro baricentro in modo da guadagnare una maggiore stabilità. Si calcola che il peso dei lottatori vari tra i 90 e i 150 kg. Iniziano ad allenarsi sin da giovanissimi: entrano nelle scuole intorno ai 15 anni e terminano la loro carriera verso i 35.
La capigliatura caratteristica dei rikishi è un codino detto “icho” che ricorda la forma delle foglie del ginko biloba.
Perché i lottatori sono grassi
Come già accennato, i lottatori di sumo sono soprattutto muscolosi. Tuttavia, ciò che colpisce a un primo sguardo sono i loro doppi menti pronunciati, le pance prominenti e una certa “morbidezza” d’immagine.
Per un lottatore di sumo è essenziale essere pesanti: durante la lotta, i rikishi si accovacciano a gambe divaricare e lasciano che il loro peso li renda il più stabili possibile in modo da non perdere l’equilibrio.
Tuttavia, c’è da dire che l’adipe dei lottatori di sumo non è grasso viscerale “cattivo”. I loro intensi allenamenti li mantengono tonici e sani, almeno sino alla fine della loro carriera, e il loro grasso si accumula principalmente sottopelle.
I veri problemi per i rikishi iniziano quando, una volta ritiratisi dal ring, smettono di allenarsi: il loro metabolismo oramai non è più efficiente e la diminuzione dell’attività fisica fa sì che il grasso inizi ad accumularsi dentro gli organi, causando gravi problemi di salute. Per questa ragione, i lottatori di sumo in media non vivono molto a lungo.
Allenamento, dieta e vita quotidiana dei lottatori
I rikishi vivono nelle “heya”, complessi residenziali annessi a una palestra specializzata. Ogni heya ospita circa 30 lottatori di diverse categorie, capeggiati dall’oyakata, un ex rikishi che al termine della carriera si dedica alla formazione delle nuove leve.
La loro giornata tipo inizia la mattina alle 7:30 quando si svegliano per il “keiko”, gli allenamenti mattutini. Il “keiko” consiste soprattutto in esercizi a corpo libero per potenziare i muscoli di gambe e braccia e nell’apprendimento delle tecniche di lotta.
L’addestramento, rigorosamente a stomaco vuoto, dura circa tre ore al termine delle quali i lottatori consumano un abbondante pranzo. In genere, la loro alimentazione è costituita da un piatto chiamato “chanko nabe”, una zuppa ricca di carne di pollo, pesce, tofu e verdure. Si tratta di un piatto ricco di proteine, studiato appositamente per far prendere loro peso.
Un rikishi arriva a mangiare fino a ottomila calorie in un giorno e, per assimilarle al meglio, dopo pranzo è d’obbligo schiacciare un pisolino. Nella serata, la maggioranza dei lottatori si dedicherà allo studio (molti, infatti, hanno meno di vent’anni) oppure qualche hobby e alla vita privata.
Aneddoti e curiosità
Alcune scuole, come ad esempio la Ryogoku a Tokyo, aprono gli allentamenti mattutini ai visitatori esterni.
I migliori ristoranti di chanko-nabe del Giappone sono gestiti da ex lottatori di sumo.
Il sumo è un mondo ritenuto sessista: le donne non hanno infatti un loro campionato e sono escluse dalla disciplina in quanto ritenute “impure” a causa del sangue mestruale. Nel 2018 il sindaco di Maizuru ebbe un malore sul dohyo e dal pubblico una dottoressa accorse a rianimarlo. Mentre la donna si adoperava per salvargli la vita, tuttavia, il commentatore del match le intimò più volte attraverso i megafoni di scendere dal ring perché stava contaminando un luogo sacro.